La sindrome del servo felice
Negli Stati Uniti, ai tristi tempi della schiavitù,
esistevano principalmente due tipi di uomini neri: gli schiavi, in catene,
malnutriti, maltrattati e torturati, e i servi, ben nutriti, benvestiti e con
una relativa libertà di movimento. Qualche veneto con la mentalità tipica da
italiano potrebbe essere portato a dire ‘meglio servi che schiavi’, cosa che
sembrerebbe ovvia, ma se osserviamo la cosa da un altro punto di vista tutto
risulta capovolto. Lo schiavo era costretto in catene perché rivoleva la sua
libertà, veniva fustigato perché non si sottometteva al padrone, veniva ucciso
perché era ancora un uomo. Il servo veniva pulito e vestito in maniera acconcia
perché doveva vivere nella casa del padrone, veniva nutrito decentemente come
premio per la sua docilità, non aveva catene perché non esisteva pericolo di
fuga, infatti il servo non bramava la libertà, ma ne era terrorizzato, perché
libertà significava dover pensare a se stessi, significava dover prendere delle
decisioni e il servo, senza nessuno che gli dicesse cosa fare e come farlo, si
sentiva perduto.
Il servo, chiamato spregiativamente “negro da cortile”
dagli schiavi, era felice della sua condizione ‘privilegiata’, pur nella
consapevolezza di essere solamente una proprietà dell’uomo bianco, ovvero poco
più di un capo di bestiame, era sicuramente in una situazione migliore di uno
schiavo, ovvero meno di un animale. Cercava continuamente di convincere anche
gli altri servi che quello era il migliore dei mondi possibili e che non c’era
futuro al di fuori della fattoria, che, dopotutto, il loro padrone era migliore
di molti altri, perché c’è
sempre qualcosa o qualcuno di peggiore. Il negro da cortile era in continua competizione con i suoi pari, ne sminuiva il lavoro e ne segnalava puntualmente le mancanze, anche dove non c’erano… e, se veniva a sapere che gli schiavi progettavano una fuga o qualsiasi altro atto che poteva turbare la serenità della fattoria, andava prontamente a denunciare il fatto al padrone. Il compenso della sua delazione poteva essere una promozione nella gerarchia della servitù oppure una razione extra di zuppa, magari con dentro qualche avanzo di carne, ma, anche se non avesse avuto niente di tutto questo, si sarebbe comunque segnalato come il più affidabile dei servi. E anche se il prezzo del tradimento nei confronti della sua gente fosse stato qualche schiavo impiccato o castrato, poco gli importava, perché in fondo il negro da cortile disprezzava gli schiavi per la loro condizione, li detestava per le loro turbolenze, che mettevano in pericolo la sua posizione, infatti anche se il servo si vestiva come i bianchi e viveva nella loro stessa casa, la sua pelle era e restava nera e questo lo esponeva all’ira del padrone, ma soprattutto li odiava perché, anche se venivano evirati, avevano comunque più attributi di tutti i servi della fattoria messi assieme.
sempre qualcosa o qualcuno di peggiore. Il negro da cortile era in continua competizione con i suoi pari, ne sminuiva il lavoro e ne segnalava puntualmente le mancanze, anche dove non c’erano… e, se veniva a sapere che gli schiavi progettavano una fuga o qualsiasi altro atto che poteva turbare la serenità della fattoria, andava prontamente a denunciare il fatto al padrone. Il compenso della sua delazione poteva essere una promozione nella gerarchia della servitù oppure una razione extra di zuppa, magari con dentro qualche avanzo di carne, ma, anche se non avesse avuto niente di tutto questo, si sarebbe comunque segnalato come il più affidabile dei servi. E anche se il prezzo del tradimento nei confronti della sua gente fosse stato qualche schiavo impiccato o castrato, poco gli importava, perché in fondo il negro da cortile disprezzava gli schiavi per la loro condizione, li detestava per le loro turbolenze, che mettevano in pericolo la sua posizione, infatti anche se il servo si vestiva come i bianchi e viveva nella loro stessa casa, la sua pelle era e restava nera e questo lo esponeva all’ira del padrone, ma soprattutto li odiava perché, anche se venivano evirati, avevano comunque più attributi di tutti i servi della fattoria messi assieme.
Il disprezzo era comunque ricambiato e, quando scoppiava
una rivolta di schiavi, i negri da cortile che non erano svelti a
volatilizzarsi facevano una triste fine.
Poi la vergogna dell’umanità chiamata schiavitù finì e da
allora canti, romanzi, ballate e film raccontano storie di schiavi neri che si
liberano dalle catene. La meschina figura del “negro da cortile” è stata invece
relegata nel ripostiglio della storia, assieme a quella del “kapò” e del
“collaborazionista”.
Oggi, a quasi 150 di distanza dalla fine della schiavitù, gli Stati
Uniti hanno un presidente nero e se questo è potuto accadere è anche per merito
degli schiavi che amavano la libertà, non certo per merito dei servi che ne
avevano paura.
Nessun commento:
Posta un commento