2
aprile 2014 ore 5 del mattino.
PLIN
PLON… “Chi sarà mai a quest’ora?”
PLIN
PLON… “CHI CAZZO E’?”
“Carabinieri!”
Ci
sono molti modi migliori di iniziare una giornata.
2
aprile 2014 ore 8 e 30 di sera.
SBANG!
Clack clack clack… Il portone blindato si chiude dietro le sbarre della cella.
Ci
sono pochi modi peggiori di finire una giornata.
In
mezzo perquisizioni con sequestro di tutto ciò che portava impresso un Leone di
San Marco: magliette, manifesti, bandiere, libri. Schedatura dai CC con
impronte e foto, prima davanti e poi di lato. Viaggio verso il Due Palazzi,
altra schedatura, altre impronte, altre foto, prima davanti e poi di lato.
Infine full immersion nel pianeta carcere.
Personalmente
ero turbato, ma non spaventato. Questo perché so benissimo di essere una
persona scomoda con idee scomode. Come ogni volta, quando abbraccio una causa,
lo faccio in maniera radicale e totalizzante, se poi la causa vede come
controparte quel leviatano chiamato Stato Italiano, allora il rischio di finire
stritolato dai suoi artigli o sbranato dalle sue fauci diventa molto più di
un’ipotesi. Ma quello che più mi ha infastidito del 2 aprile è stata l’accusa
con cui siamo finiti dentro, ovvero ‘terrorismo’!
A
parte il fatto che anche i nazifascisti chiamavano terroristi i partigiani (e
tutti sappiamo com'è andata a finire), terrorismo ha come sinonimo ‘lotta
armata’, cosa ben differente dall'occupazione simbolica di una piazza e di qualche
edificio. Il motivo di un’accusa tanto sproporzionata rispetto alle
potenzialità e ai fini dei Nuovi Serenissimi è facile da spiegare, partiamo da
un presupposto: dubito seriamente che lo stato italiano possa avere così tanta
paura del sottoscritto e di qualche altra decina di operai, impiegati,
casalinghe e commercianti, da cucirci addosso l’etichetta di ‘terroristi’ con
tanta facilità. Quindi quello di cui lo stato ha realmente paura sono i veneti!
Lo stato, o ciò che ne resta, è terrorizzato dall’idea che i veneti prendano
coscienza di essere un popolo, che si ricordino di cos’erano fino a duecento
anni fa, che si ribellino alla loro squallida e insignificante condizione di
‘regione ordinaria’ della Repubblica italiana. Il messaggio dello stato è
chiaro: guai a voi se provate ad alzare la testa dal fango, guai a voi se
smettete di comportarvi come pecore da mungere e tosare, perché oltre alla
tosatura e alla mungitura c’è anche l’eventualità della macellazione! Un
messaggio che molti pavidi veneti, divenuti oramai italiani del nord est, hanno
senz’altro recepito, tornando ad occuparsi del proprio orticello. Almeno fino a
quando avranno ancora un orticello a cui pensare. Altri però hanno, seppur di
malavoglia, dovuto aprire gli occhi sulla ‘Questione veneta’ e prendere atto
che lo scollamento tra lo stato e una sempre più larga fascia della popolazione
sta diventando strutturale e, ancor peggio (per alcuni), virale. Per altri
ancora, indecisi sulla necessità di un progetto indipendentista, si è trattato
di un episodio che ha reso palese la reale natura dello stato italiano. Una vera
e propria ‘fine dell’innocenza’.
Anche
i tempi dell’operazione ‘Simile’ non sono stati casuali: due settimane dopo il
terremoto politico-mediatico del referendum digitale di Plebiscito e negli
stessi giorni in cui la commissione regionale decideva sulla fattibilità di un
referendum ufficiale sull’indipendenza del Veneto. Qualcuno ha parlato di
giustizia ad orologeria e, come diceva De Andrè, se non ha tutte le ragioni, di
torto ne ha ben poco.
Fortunatamente,
un paio di settimane dopo, il tribunale del riesame di Brescia ha giudicato la
vicenda con molta più lucidità e molto meno furore etnico-ideologico rispetto
alla procura, demolendo, per ora, le accuse più gravi e ridimensionando il
tutto. Così molti di quelli che venti giorni prima erano una versione euganea
di Al Quaeda, sono tornati liberi. Ma qualcuno si fida davvero della
magistratura italiana? La giustizia malata di uno stato malato è affidabile
quanto una granata difettosa e senza sicura, quindi do per scontato che le
vicissitudini di tutti i patrioti coinvolti siano tutt’altro che finite. Ma il
sottoscritto non è uno di quelli che crede basti chiedere la libertà per
ottenerla, il percorso per l’indipendenza è disseminato di ostacoli e trappole,
difficile percorrerlo fino in fondo senza farsi male!
Tornando
agli arresti di aprile, personalmente la detenzione non ha fatto altro che
rafforzare le mie convinzioni e la mia determinazione e questo per tre motivi:
prima di tutto perché il carcere è uno di quei posti dove la linea di demarcazione
tra chi ha gli attributi e chi è solo convinto di averli diventa decisamente
netta. In secondo luogo le notizie che arrivavano da fuori parlavano
esclusivamente di solidarietà e vicinanza sia personale che politica. Infine,
ma non ultimo, sentire rinnegati, collaborazionisti e paraculi vari che
attaccavano noi e le nostre idee su giornali e televisioni mi ha dato la
certezza di essere nel giusto.
Ma
la mia più forte convinzione è che magistratura e carabinieri possono arrestare
le persone, ma non possono arrestare la storia! E la storia ha già emesso la
sua sentenza nei confronti dello stato italiano, della sua cialtroneria, della
sua arroganza, della sua iniquità e della sua inadeguatezza, ora basta solo che
il popolo la renda esecutiva.
Riccardo
‘Estremamente Sereno’ Lovato