CHI SIAMO

UPV è un movimento politico-culturale che ha l’obiettivo di creare una sintesi tra ideali socialisti, difesa dell’Identità Nazionale Veneta e lotta per l’autodeterminazione dei Territori Veneti. Il nostro scopo è diffondere il Venetismo nella sinistra e la sinistra nel Venetismo, in modo da portare alla costituzione di una SINISTRA VENETA INDIPENDENTISTA E IDENTITARIA.

giovedì 13 settembre 2012

AUTODETERMINAZIONE DALLE PROPRIE PAURE


Si parla sempre di più di autodeterminazione, ma la prima liberazione deve essere personale, ogni veneto deve liberarsi dalle proprie paure. Paure che ci sono state sapientemente inculcate dal potere statale, il quale nel corso dei decenni ha costruito un ambiente di ansia e diffidenza diffusi, una so­cietà ultra-individualista dove le persone sono schiave della solitudine e dell’egoismo, dove ogni forma di socializzazione non controllata è vista come una minaccia allo ‘status quo’. Una società che si basa non sul ri­spetto ma sul timore, una società fatta non di persone ma di impauriti co­dici fiscali.
Il timore assoluto nei confronti dell’autorità, il terrore degli apparati re­pressivi dello stato, la paura di perdere quel poco che si ha, il sacro terrore di mettere in discussione i dogmi nazionalistici che ci hanno infilato in te­sta fin dalle elementari, la repulsione nei confronti di tutto ciò che può mettere in discussione la nostra piccola, fragile, instabile tranquillità e, in­fine, l’enorme difficoltà nel confrontarsi con l’esterno, nel mettere la testa fuori dal guscio, nel rendersi conto che il mondo non è ‘IO’, ma ‘NOI’.
Tutte queste fobie devono essere spazzate via, dobbiamo autodeterminarci dal nostro lato pavido e oscuro, se vogliamo liberare la nostra terra e le no­stre vite dal giogo del gigantesco e moribondo pachiderma chiamato stato italiano.
Un popolo determinato, consapevole e coeso non può essere fermato, ne dai carabinieri, ne dai magistrati, ne dall’esercito di uno stato in declino e guidato da una classe dirigente priva di ogni credibilità.
L’alternativa all’autodeterminazione dei veneti e delle Venetie è sempli­cemente seguire lo stato italiano nell’abisso e perdere diritti, beni e dignità, nonché costringere le prossime generazioni a un futuro di umiliazione e degrado economico, sociale e morale.
Questo sarà il prezzo delle nostre paure!

giovedì 12 luglio 2012

La violenza come base di ogni diritto


L’Europa si è liberata dal nazismo attraverso una guerra, l’Irlanda ha gettato i semi della propria in­dipendenza per mezzo della rivolta armata del 1916, i sindacati hanno ottenuto lo Statuto dei Lavo­ratori dopo scioperi ed occupazioni di fabbriche, sempre più spesso comitati ed associazioni trovano ascolto solo bloccando i lavori di commissioni e consigli comunali, gli studenti promuovono le loro istanze occupando scuole ed università. 
Dai grandi eventi della storia alle questioni quotidiane, la realtà ci insegna che gli atti di forza risolvono molte più situazioni rispetto al semplice dialogo. E ‘Forza’ non è che un sinonimo decisamente più accettabile del termine ‘Violenza’, un termine che spaventa, ma che permea i rapporti tra esseri umani fin dall’inizio dei tempi, infatti ogni tipo società si basa da sempre su rapporti di forza. Prendiamo ad esempio la moribonda repubblica italiana, i rapporti tra maggioranza e opposizione, tra impresa e lavoratori, tra stato e cittadini non si basano forse sulla forza? 
Quando il governo impone la fiducia evitando il dibattito in parlamento, quando la Fiat vieta l’assunzione di lavoratori appartenenti alla Fiom, quando lo stato eleva la tassazione fino a togliere la possibilità di una vita decente a centinaia di migliaia di famiglie, non si tratta forse di atti violenti?  E per contro, quando i lavoratori bloccano la produzione, quando una famiglia occupa una casa, quando viene bloccata una stazione o un’autostrada, non si tratta forse di una dimostra­zione di forza? Da sempre i diritti, su tutti quello di esistere, si acquisiscono con la forza e con la forza si difendono, chi parla di lotta e diritti e allo stesso tempo blatera di rifiuto della violenza e ri­spetto della legalità o è un idiota o, più probabilmente, è in malafede. Come ci si può impegnare in una prova di forza rifiutando l’uso della stessa? Come si può tener testa ad uno stato iniquo ed arro­gante rispettando le sue leggi?
Pacifisti, nonviolenti e legalitari sono nemici del cambiamento! Pacifisti, nonviolenti e legalitari sono nemici del popolo, soprattutto di quello veneto!
Il popolo non va educato alla non-violenza, il popolo va invece educato all’uso della forza, matrice di ogni diritto e fonte di ogni autorità!

mercoledì 11 aprile 2012

LA CONSAPEVOLEZZA È UN’ARMA

Come molti altri veneti il primo fine settimana di settembre ero a Cittadella per la no­stra Festa. Lì, nonostante il tempo perfido e i patetici tentativi di boicottaggio da parte di gruppuscoli nazionalisti italiani, ho trovato una moltitudine di realtà, a volte molto diverse tra loro. In nessun altro posto, tranne forse la gradinata di uno stadio, avreb­bero potuto convivere tendenze politiche e culturali così eterogenee, per questo mo­tivo mi sono chiesto: Perché siamo qui? Siamo andati a Cittadella per fare ‘festa’? Si, certo. Ci siamo andati per vedere l’alzabandiera? Anche. Eravamo lì per fare un di­spetto alla destra nazionalista e alla sinistra non meno sciovinista e antiveneta, tanto che spesso non si riesce a distiguerle? Sicuramente si! Ma alla fine mi sono convinto che la risposta esatta era: Siamo qui per acquisire consapevolezza. Perché la consape­volezza è un’arma! La consapevolezza della propria situazione ha come diretta con­seguenza il raggiungimento della determinazione necessaria a cambiarla, perché senza determinazione non c’è lotta, una persona determinata può vincere anche le battaglie più difficili, un popolo determinato può fare qualsiasi cosa, magari anche la rivoluzione!
Prima di tutto bisogna sapere di essere un popolo, e qui la strada si fa in sa­lita. Da 150 anni, infatti, le istituzioni dello stato italiano stanno operando un sistematico tentativo di livellamento culturale in tutto lo stivale: per creare ciò che non c’è mai stato ci in­segnano che esiste una ‘nazione’ Italia, un ‘popolo’ italiano, una ‘identità’ italiana. Tutte stronzate! Esiste una Repubblica Italiana che non è mai stata e non sarà mai una Nazione, perché sotto il suo tallone languono i POPOLI ITALIANI, ognuno con la sua cultura e la sua identità, forgiate in secoli storie diversissime tra loro. Basti pen­sare che solo nel nord convivevano una repubblica oligarchica (Venezia), una monar­chia liberale (i Savoia) e un ducato (Milano), se poi scendiamo verso sud tro­viamo altri granducati (Toscana ed Emilia) , una teocrazia (lo Stato Pontificio) e una monar­chia di stampo parafeudale (i Borbone). Anche a livello di influenze esterne la diffe­renza è abissale: se il nord est è sempre stato una cerniera tra popoli slavi, latini e germanici, il nord ovest ha risentito fortemente della vicinanza alla Francia, mentre il centro Italia ha subito la cristallizzazione socio-culturale tipica delle teocrazie. Nel sud, infine, la popolazione ha adottato la mentalità levantina tipica dei territori medi­terranei.
Noi dobbiamo acquisire quindi la consapevolezza che esiste un Popolo Veneto di­verso dagli altri, non superiore o inferiore, semplicemente ‘diverso’ per storia, cultura e lingua. Una storia che ci racconta di un popolo fiero e legato alla sua autonomia, conservata, unico territorio in Italia, anche in epoca romana. Una cultura raccontata da opere letterarie e teatrali, da poesie e canzoni, una cultura che ha affascinato per­sonaggi del calibro di Shakespeare. Una koinè linguistica che, nelle varie parlate, è diffusa dal Trentino alla Dalmazia. Esiste inoltre un territorio ben definito in cui i ve­neti hanno vissuto da 3000 anni a questa parte. Da sempre un popolo e il suo territo­rio vengono definiti ‘nazione’, esiste quindi una NAZIONE VENETA! Per questo eravamo a Cittadella.
Questa consapevolezza non va solo acquisita, va anche diffusa come un virus tra amici, colleghi di lavoro, familiari. Questa consapevolezza vale più dei fantomatici fucili di Bossi, più delle istituzioni repressive dello stato, più della retorica nazionali­sta legata alle cele­brazioni della finta unità d’Italia. Questa consapevolezza sarà l’arma con cui ci apri­remo la strada verso la libertà.

martedì 28 febbraio 2012

IL TERRITORIO APPARTIENE A CHI CI VIVE

Fino a qualche tempo fa la maggiorparte della gente non sapeva nemmeno dove fosse la Val di Susa, ma oggi, con le manifestazioni sempre più dure contro il passaggio del Treno ad Alta Velocità, questa valle è diventata un simbolo per tutti coloro che si battono in difesa del territorio. E non si tratta solamente di pur importanti rivendica­zioni ambientaliste, in gioco c’è soprattutto il diritto della popolazione a decidere come gestire la propria terra. In parole povere, la lotta dei valsusini contro la TAV è la lotta contro uno stato lontano e autoritario che vuole imporre la propria volontà ‘manu militari’.
Si è già detto molto sull’inutilità di un nuovo tracciato ferroviario in luogo di quello preesistente e sugli sprechi (ovvero la solita mangiatoia italiana) a cui si presterà l’opera, così come sono noti gli effetti disastrosi che avranno gli scavi dei tunnel at­traverso montagne nelle quali sono presenti in abbondanti quantità amianto e radon. Perciò preferiamo soffermarci sul significato civile di questa protesta. In Val di Susa si è mobilitata l’intera comunità, in strada sono scesi sindaci, famiglie, pensionati, la­voratori e studenti, tutti determinati a salvare la propria terra, anche a costo di sfidare gli apparati repressivi dello stato, ed è questo che spaventa l’establishment italiota. Questa è una ribellione che va al di là del luddismo dei cosidetti ‘black block’ e oltre la ricerca di visibilità da parte di gruppi più o meno antagonisti, in Piemonte è stato un popolo intero a mettere in discussione l’autorità dello stato. Un messaggio che, se raccolto anche altrove, potrebbe essere l’inizio della fine per il traballante baraccone tricolore e la sua arrogante ed ingorda classe dirigente, da qui si capisce la particolare attenzione che i sopracitati apparati repressivi pongono alla questione.

In Val di Susa si gioca una partita decisiva, se lo stato perde lì, perderà ovunque. Se passa nella valle, prima o poi toccherà a qualcun altro subire lo scempio del proprio territorio in nome dei ‘maggiori interessi nazionali’.
Ma in tutto questo bailamme che posizione hanno preso i verdi difensori dell’autodeterminazione, i celtici paladini del ‘paroni a caxa nostra’? Ebbene, i pa­dani, attraverso l’ex ministro dell’interno Maroni, hanno agito come il braccio armato del più bieco e autoritario centralismo statale, inviando frotte di poliziotti, carabinieri e finanzieri (italiani) per tenere a bada la legittima incazzatura della popolazione lo­cale.

Ma come? Per i valsusini non vale il ‘paroni a caxa nostra’? La Val di Susa non si trova forse nel tolkeniano Regno di Padania? Chi ha abbastanza buon senso può be­nissimo rispondersi da solo…
Per concludere, chiunque si ritenga realmente indipendentista o autonomista ha il do­vere di solidarizzare moralmente e fisicamente con la lotta anti Tav, voltarsi dall’altra parte o seguire come scimmie ammaestrate i deliri legalitari dei ras padani sarebbe puro autolesionismo

Unità Popolare Veneta
Comitato direttivo 

venerdì 17 febbraio 2012

FASCISMO E INDIPENDENTISMO, DUE MONDI INCONCILIABILI

Che fascismo e indipendentismo non “c’azzeccano”, come direbbe Di Pietro, do­vrebbe essere palese, ma essendo parte dell’italico stivale non bisogna dare nulla per scontato.
Prendiamo spunto da un episodio avvenuto di recente a Treviso, dove il solito prosin­daco Gentilini ha fatto da guest star in una cena organizzata da ex soci di Veneto Stato, espulsi dal partito alla fine del 2011. Qui il buon Genty si è lasciato andare alla consueta rivendicazione del suo profondo legame con gli ideali fascisti, non man­cando di rimpiangere manganelli e olio di ricino , fra risate e applausi degli astanti.
‘Dov’è la novità?’ Si chiederà qualcuno. Le idee nostalgiche del vegliardo italo-pa­dano sono note, cosi come la tendenza della Lega ad imbarcare gli scarti dell’estrema destra italiana. Quello che fa riflettere è il contesto, infatti gli organizzatori della cena, pur essendo stati cacciati da Veneto Stato, continuano a ritenersi membri attivi del partito, alcuni addirittura con cariche direttive. Quindi a tutti gli effetti indipen­dentisti!
A questo punto sarà opportuno ricordare ciò che i principali regimi fascisti hanno combinato in tema di autonomie territoriali.
Il fascismo italiano ha dato vita a sanguinose guerre coloniali contro i popoli africani non ancora succubi di altre potenze europee, ha poi raso al suolo le autonomie comu­nali, sostituendo i sindaci con podestà nominati dal regime. Inoltre Mussolini è an­dato più vicino di tutti  gli altri “statisti” italiani nell’impresa di livellare a zero le va­rie identità territoriali presenti nello stivale, omologando tutti i popoli alla dottrina fa­scista attraverso il famigerato Ministero della Cultura Popolare (Min.cul.pop).
Durante la sua permanenza al potere il nazismo tedesco ha soppresso i Lander, ov­vero gli eredi degli stati tedeschi che il secolo prima avevano dato vita alla federa­zione germanica, cancellando ogni loro potere legislativo e amministrativo e riducen­doli a territori controllati direttamente da Berlino attraverso dei governatori catapul­tati direttamente dal Reichstag.
Una delle prime mosse del regime franchista spagnolo dopo la fine della guerra civile fu la soppressione delle autonomie regionali, soprattutto quelle in vigore nei Paesi Baschi e in Catalogna. Il passo successivo fu il divieto di utilizzare le lingue locali, anche scrivere un volantino in una lingua che non fosse il castigliano era considerato reato. Inoltre vennero proibite le bandiere e i simboli identitari dei vari territori ibe­rici.
Assodata quindi l’inconciliabilità tra fascismo e libertà dei popoli, il fatto di vedere persone che si definiscono indipendentiste applaudire un tizio che inneggia al venten­nio non è fastidioso o preoccupante… è semplicemente assurdo! 
Per correttezza non ci siamo mai immischiati nelle vicende di Veneto Stato, ma la vi­sta di simili scene ci fa pensare che il partito abbia fatto una mossa sensata nel dare una ripulita al suo interno. Il vero indipendentismo veneto ne uscirà più rafforzato e più sano.  

Unità Popolare Veneta
Comitato Direttivo 

mercoledì 1 febbraio 2012

UPV OSPITE DI VENETO STATO

Di seguito l'intervento del portavoce di Unità Popolare Veneta al congresso di Veneto Stato, tenutosi il 22/01/2012 a Vicenza.


Inizio questo intervento ringraziando Veneto Stato per l’invito a parteci­pare al pro­prio congresso, un fatto molto importante, tenendo conto delle nostre diverse impo­stazioni ideologiche.
Importante, in quanto noi di UPV riteniamo che sia necessario unire i movimenti indipendentisti in un fronte trasversale alla politica e alla società, perché la lotta per l’autodeterminazione delle Venezie non può interessare un solo schiera­mento politico, o una sola categoria sociale.

Credo che tutti noi siamo consapevoli del fatto che il declino dello stato italiano è ir­reversibile e che l’indipendenza sarà l’unica via di salvezza per i territori del nord est. Purtroppo, però, la maggiorparte dei nostri compa­trioti ancora non se ne rende conto e continua ad affidare ai politici filoita­liani la propria rappresentanza e il proprio futuro.

Altri ancora si ostinano a confidare in un partito che, in mancanza di ri­scontri reali al proprio operato, non ha saputo fare altro che rifugiarsi in una nazione inventata e nei suoi miti ‘fantasy’. Per questo i movimenti co­sidetti ‘venetisti’ devono collaborare tra loro per diffondere il verbo sepa­ratista in tutti i settori della società e per promuovere la nostra identità na­zionale ad ogni livello, alla faccia dei continui tentativi di omolo­gazione culturale operati dagli italianisti.

La nostra priorità deve essere risvegliare il popolo veneto, togliergli l’ovatta tricolore dalle orecchie, levargli le fette di salame padano dagli occhi. Perché, se è vero che le rivoluzioni partono dalle avanguardie, è al­trettanto certo che senza l’appoggio del popolo esse non si compiono. Il momento è favorevole, lasciarcelo sfuggire sarebbe criminale.
Pericolo tutt’altro che remoto, visto che negli ultimi anni abbiamo assistito alla dis­soluzione di tutti i movimenti indipendentisti nati dalla rabbia e dalla delu­sione dei veneti. Dissoluzione dovuta soprattutto a personalismi di gente interessata principalmente al proprio piccolo tornaconto, gente per cui la proprietà è più importante dell’individuo e quindi del popolo.
Noi come UPV siamo pronti, da sinistra, a fare la nostra parte per la pa­tria… quella vera, naturlamente.

Dobbiamo altresì volgere il nostro sguardo anche oltre i confini del nostro territorio. In molte parti dello stivale si vivono fermenti separatisti, nuovi movimenti di libera­zione stanno nascendo a fianco di quelli storici di Sar­degna e Sud Tirolo. Pensate a cosa è successo negli ultimi giorni in Sicilia. I siciliani hanno capito che quando ci si confronta con lo stato italiano bi­sogna fare la faccia cattiva, non come certi governa­tori, i quali, quando vanno a Roma per elemosinare fondi che gli spettano di diritto, sembrano Oliver Twist che chiede al suo padrone “Per favore, mi dà dell’altra zuppa?” e in risposta riceve solo bastonate!
Con questi movimenti dobbiamo dialogare e collaborare, in quanto, a pre­scindere dalla latitudine, abbiamo lo stesso obiettivo: la fine della dittatura unitaria!

Importanti sono anche i contatti col resto d’Europa, soprattutto con quelle realtà sto­ricamente impegnate nelle lotte per l’autodeterminazione dei pro­pri territori, che poco o nulla sanno della nostra situazione e a cui viene fatto credere che in Veneto esiste solo la Lega.
Il Veneto deve entrare ne­cessariamente in quella che potremo chiamare l’Internazionale Indipen­dentista, visto che storicamente la maggiorparte dei movimenti di libera­zione nazionale sono di ispirazione socialista. Se così non fosse, in tutta Europa il Leone Marciano conti­nuerà ad essere associato ai padani e ai loro deliri. Per non parlare dell’importanza della solidarietà tra popoli in lotta, che, anche a distanza di migliaia di chilometri, può far sentire tutto il suo peso. 

Concludo lanciando un monito: lo stato italiano è un pachiderma mori­bondo, ma sono in molti, per interesse, ideologia o semplicemente per mera ottusità, a non volersi ras­segnare alla sua fine. Più la nostra marcia verso la libertà diventerà travolgente, più questa feccia collaborazionista ci attaccherà a tutti i livelli. Verrà il momento in cui non potremo più per­metterci di andare troppo per il sottile, verrà il momento in cui dovremo andare oltre le regole imposte dallo stato italiano. Sarà opportuno che ciò venga tenuto bene in considerazione, da tutti.